Spiazzamento, è ciò che ho provato pressochè costantemente di fronte ai brani di Ernia; indipendentemente dall’accezione positiva o negativa che il termine si trascinasse dietro.
Barcollare senza offrire precisi punti di riferimento, solidi appigli; immergersi in sonorità che distano chilometri l’una dall’altra può risultare rischioso, specialmente di fronte ad orecchie non educate al cambiamento, alla contaminazione. La classica critica italica sulla “mancanza di un’identità definita” è dietro l’angolo per un artista che sceglie di fare della poliedricità la propria cifra stilistica.
Ernia stravolge il microcosmo creatosi con “QT” e si spinge all’estremo opposto, in un percorso in cui le tappe non contrassegnano una scalata verticale volta al miglioramento, ma una sperimentazione orizzontale delle proprie potenzialità.
Ascolta “QT”:
È come se ogni nuovo singolo arrivasse a spodestare prepotentemente il precedente, in un regno in cui non domina altro che il caos generato da una creatività sfrenata. Agli ascoltatori è dato appena il tempo per metabolizzare: all’uscita del singolo successivo delle nuove Idi di Marzo.
L’impressione che l’ascolto di “Feeling” suscita è molto simile allo stupore inaspettato di cui parlavamo meno di un mese fa, in seguito all’ascolto di “Rossetto”, l’intro del prossimo disco di Rkomi. Nonostante il mood e le sonorità dei pezzi si trovino su piani diametralmente opposti, entrambi riescono ad attrarre magneticamente l’attenzione, come solo gli imprevisti sanno fare.
Ascolta “Feeling”:
Sono deviazioni in un sistema in cui credevamo di aver trovato la chiave di lettura. In questo diabolico gioco di disequilibri, Ernia sceglie di calcare la mano su alcuni aspetti accennati o timidamente coltivati nei singoli precedenti. Pare quasi che a forza di ricalibrare la formula, abbia, inconsciamente, trovato una sorta di alchimia tra i vari ingredienti dei suoi esperimenti.
“Feeling” non è un brano pregno di contenuti, di rimandi di svariata natura, tanti da togliere lo spazio vitale all’immaginazione. Non lo è per scelta, non per assenza d’ispirazione.
“Più bisturi
che machete”
Lo definirei asettico; Ernia designa un tema, restringe il campo, limita all’osso riferimenti cinemato-letterari e poi lo sviscera con la caparbietà di un chirurgo. Più bisturi che machete.
L’attrazione di cui narra è quasi meccanica, tanto da farlo risentire, infastidirlo a tratti. Lo desensibilizza proprio nella misura in cui risulta inevitabile e l’autotune, per quanto velato nelle strofe, enfatizza questa narrazione distaccata. A emergere non è il solito artista dalle lucide sentenze (quello de “il politically correct è bravo a renderci puttane”, per capirci), ma una versione meno autorevole, privata di quella sicurezza che quasi mette in soggezione. Si avvicina più a un cantastorie disilluso, che racconta le sue vicende e si trova a traballare in un delicato binomio distacco-concretezza.
L’altro splendido contrasto si crea tra strumentale e video. Marz stende un tappeto elegante, cullante nella sua ricchezza di suoni, dove però il tocco di classe è il campionamento della voce distorta in intro e ritornello. Al contrario, l’estetica del video è molto essenziale. E’ girato quasi interamente in piano sequenza e i movimenti sono volutamente misurati, maniacalmente precisi.
La sensazione è che oltre a una sperimentazione stilistica a livello musicale Ernia ne stia portando avanti, di pari passo, una a livello visivo. Sicuramente, in video di questo genere, il “bel Matté” gioca un ruolo fondamentale: la recitazione in prima persona, oltre ad offrire un risultato esteticamente piacevole, permette all’artista di rafforzare ulteriormente il legame fra brano e componente visiva.
La presenza scenica di Ernia non è quella straripante di un Tedua o quella magnetica di un Laioung; la sua bellezza non è quella da copertina, senza sbavature ed insignificante. Ernia non è nient’altro che uno dei tanti ragazzi con “la faccia da hooligan” che, però, scopre di avere il talento per calpestare da protagonista il campo da gioco.
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