(Servizio Fotografico di Francesco Faraci)
Quasi un anno fa commentavo su queste pagine la grande capacità analitica del brano WOW di Achille Lauro, il cui video è ambientato al Corviale: «Niente sa raccontare meglio le periferie che l’occhio esterno del rapper romano». Quella di Achille Lauro si è trasformata in una narrazione suburbana dai tratti personalizzati, completamente nuova in Italia. Ora che Ricky – il protagonista di WOW – è l’emblema dei ragazzi madre dei quartieri ERP (Edilizia Residenziale Pubblica), e che Lauro – assieme a Boss Doms – concretizza nei suoi testi tutte le aspirazioni di chi con la musica sta migliorando la propria vita, si è fatto spazio il bisogno di incontrarlo per dare valore alle traiettorie biografiche di queste aree marginali della città. Ma in WOW, confessa Lauro, «è tutto merito di Edoardo (Boss Doms, ndr)».
Vorrei partire da quello che a mio parere è il tuo tratto distintivo: nella tua narrativa, c’è un grande protagonismo delle periferie, una forma nuova di raccontarle, senza esaltarne le problematiche e le differenze dal resto della città. Sei d’accordo con me?
«Secondo me siamo i protagonisti e i reporter delle nostre storie, e non ti parlo solo del mondo street, ti parlo pure delle sfumature più piccole: un Ascensore per l’Inferno si sente che non è una strategia di marketing a tavolino, è uno stato d’animo che permette anche di rispecchiarsi. Sai quanti pischelli mi scrivono che dopo aver passato un periodo di merda hanno sentito il disco e sono diventati nostri fan? Gente dai 15 ai 24 anni, e mi fa piacere che mi ascoltino anche i ragazzini: vuol dire che poi avranno la strada spianata. E comunque, in tutto il mondo il rap è contenuto di questo tipo, droga e realtà difficile, la censura va bene sulla battuta scema, ma a farla diventare mainstream spiani la strada a tanta gente, ed è importante. E io non attribuisco il mio successo a questo carattere periferico: la bella musica arriva da ogni strato sociale, si può prendere spunto da qualunque cosa, ma che viene da una situazione di stato d’animo difficile».
Dal mondo che ti circonda, hai voluto costruire il concetto di Ragazzi Madre, che dà il titolo al nuovo album. So che te l’hanno già chiesto, ma spiegami che cosa significa, è importante per capire meglio le tue narrazioni.
«Ed è importante ripeterlo perché il titolo di questo nuovo progetto. E’ un concetto plusvalente: dalla copertina con le storie in pancia, dove però si vuole comunicare il messaggio guarda che siamo costretti a fà. Poi, andando più in fondo, una ragazza madre è una pischella abbandonata, costretta ad assumersi la responsabilità di crescere un figlio: ragazzi abbandonati a sé stessi costretti a crescersi da soli, ed è una cosa che non fa parte solo dei quartieri cafoni, ma di tante famiglie con genitori assenti e ragazzi che in un modo o nell’altro vivono da soli. E’ uno stato d’animo».
Palazzi grigi, marci dalle radici
Ascolta “Barabba II”:
Un ingegnere dell’Università La Sapienza sostiene che la nuova identità di Roma è nelle sue periferie. Un’espansione molto forte fuori dal centro storico, ormai troppo costoso…
«a Roma ho visto case a 1000€ al mese che erano disgustose: vivere in una casa di merda ti rode il culo, ti cambia la vita. Un quartiere come Porta di Roma (Roma Nord, La Bufalotta, ndr) ha il centro commerciale e palazzi mezzi vuoti, cosa ci sarà tra dieci anni non lo so, ma so che nei posti dove hanno fatto i palazzi in serie, hanno abbandonato le persone. La gente che è andata al Corviale aveva le popolari in Via del Corso, poi li hanno parcheggiati a Corviale per ristrutturare le case, e sta gente è stata abbandonata lì. Magari tra 10 anni Porta di Roma diventa un bel posto, ma abbiamo tanti esempi di quartieri ammassati, con venti piani di palazzo, che diventano aree criminali, piazze di spaccio, e siringhe per le scale. A Roma, che è essere enorme, la gente è abbandonata, perché i mezzi non ci sono, lavoro ce n’è poco e se c’è è sottopagato, le famiglie si rovinano, e nel quartiere si agisce come può».
Che cosa serve per rigenerare le periferie romane? Tu, che ci sei cresciuto, puoi dirci qualcosa di rilevante molto meglio di chiunque altro, con un occhio critico e l’esperienza sulle spalle.
«C’è un problema italiano, e tipico di situazioni d’abbandono: quello di oggi è solo il frutto di trent’anni di cultura dell’inculare il prossimo (ride, ndr). Non voglio attaccare nessuno, ma c’è un problema di corruzione molto forte. Cosa devi sistemare? Le periferie? Ma sistema gli ospedali prima delle periferie, nelle popolari c’è chi assumeva medicinali scaduti, stiamo parlando della salute della gente! Poi qui non si fa la rivoluzione perché siamo una generazione di ritardati con l’iPhone, mentre in Francia davanti alla nuova Legge sul lavoro hanno messo a ferro e fuoco la città».
In un’intervista a HHtv hai detto «quando ho iniziato ero uscito da un tombino», alludendo anche ai quartieri dove sei cresciuto. Vorrei che continuassi a parlarmi delle periferie, luogo d’ispirazione di quasi tutti i tuoi testi.
«Se vai al Corviale, ci entri e non vedi una situazione criminale, vedi gente lasciata a sé stessa, che è molto peggio. Almeno il criminale si è inventato qualcosa, lì vedi i sedicenni che sembra abbiano cinquant’anni per quanto sono abbandonati a loro stessi. E pensa ai disabili al nono piano: come cazzo scendono di casa? E c’è di peggio al Sud, a Palermo, a Catania, a Bari, a Napoli. Roma si salva perché è la Capitale, è la metropoli, c’è il Vaticano, c’è turismo nel centro storico, non la puoi abbandonare del tutto, anche se ha aree molto grevi, anche solo Val Melaina, Vigne Nuove e Tufello, dove io sono cresciuto, e la gente è abbandonata, senza un lavoro solido, con uno stipendio da fame».
Gonfiamo la piscina sotto i palazzoni
Ascolta “Miami Beach”:
Però, raccontavi in uno degli ultimi brani registrati con Roccia Music, questi luoghi dell’abbandono per te sono anche Miami Beach…
«Io sono innamorato del posto in cui sono cresciuto, e siamo abituati a svegliarci e affrontare il quartiere conoscendolo. E’ anche una cosa mezza ironica, sai, Miami Beach ha palazzi altissimi, il mare davanti, e Roma ha Ostia e Fregene; è un ironizzare. Fratè, se stavo in America, con quel singolo ero miliardario, perché le cose happy, che sono per me l’evoluzione di pezzi come Motorini, sono nuove qui in Italia in chiave trap, e nei testi serve anche questo, non solo le solite canzoni».
Tra le canzoni che sono fuori dall’ordinario, io ho individuato Amico del Quore, sia per il testo sia per il beat, ma quello che voglio chiederti non riguarda né il testo né il beat: quanti Amici del Quore hai incontrato nelle periferie di Roma?
«Ho solo amici del Quore! Quello del video è una leggenda romana, conosciuto in tutta Italia, è un eroe, ma ci sono amici di tutte le età: vieni giù da me a vedere quanto sono pericolosi i più piccoli, i quindicenni senza coscienza; e ti parlo di cose comuni anche a Londra, dove la rapina è facile».
Ascolta “Amico del Quore”:
Spostandoci sul piano prettamente musicale delle sonorità, c’è qualche canzone del nuovo album alla quale sei più affezionato?
«Sono affezionato all’album nella sua totalità, è un’unica compilation. In generale, sono legato ai pezzi più introspettivi, dove ero psicologicamente più provato. Un brano come La Bella e La Bestia, dove c’è un testo d’amore legato ad un intero stato d’animo, ha una vena un po’ malinconica rispetto al tutto, non solo all’amore in sé».
La pancia come un’anatra
Ascolta “Maharaja”:
La Bella e La Bestia fa infatti parte di un Achille Lauro molto introspettivo. Parliamo però del tuo percorso integrale, da Barabba Mixtape a Ragazzi Madre: cosa è cambiato? Com’è cambiato Achille Lauro? Com’è cambiata nel complesso la tua musica?
«Si è fatto un salto in avanti. Sono stato sempre molto ambizioso: qua abbiamo deciso che andava alzato il livello e fare musica fatta bene. Poi: noi non siamo pro-droga, noi siamo pro-soldi, abbiamo approcciato sempre in maniera diversa alle nostre tematiche, pur avendo amici che hanno preso brutte strade. Non sono nemmeno stato il consumatore abituale di stupefacenti, a vendere le cose per drogarsi, ma ho sempre puntato a migliorare la mia vita, a fare i soldi tutti in un giorno».
Achille Lauro + Boss Doms: tutti i brani che hanno preceduto Ragazzi Madre presentavano un suono a mio parere molto innovativo, e con il nuovo album ne ho avuta la conferma. Quando è nato questo sodalizio?
Boss Doms: «effettivamente è nato un anno e mezzo, ma avevamo già collaborato nei primi singoli, anche in Barabba. Poi ci siamo ritrovati con Ragazzi Madre: mi ha creato un background diverso, la scelta del suono era per fare una cosa fuori dalle righe, meno italiano. Teatro & Cinema è nato come pezzo elettronico, non era nato per rapparci sopra. Assieme comunque facciamo una roba che ci piace a entrambi, viene naturale».
Achille Lauro: «Santana è stato creato assieme ed è stata una rampa di lancio. La forza di Edoardo è che oltre all’elettronica in sé, con cui sta in fissa, c’è anche un background di tipo colonna sonora: riesce a fare tutti i generi, è versatile, dalla traccia reggae, a quella anni ’80, alla EDM di cui ha della roba fuori dal normale, con una sfumatura tutta sua».
Ora mi tocca fare una domanda che non mi piace: tra i testi di Achille Lauro e i suoni di Boss Doms, quali sono le principali influenze?
Achille Lauro: «La mia influenza maggiore è riuscire a cogliere da quello che mi circonda, dal discorso tra me e te, dal discorso tra me e Doms, dal cartello per strada, delle ispirazioni per la mia musica».
Boss Doms: «Un po’ come Carlo Verdone, che nei suoi film ha sempre preso ispirazione dalla gente di Roma. A volte pèggiocà io lo chiamo Carlo Verdone, che è anche uno molto paranoico come lui (ride, ndr)».
Ok ma, ad esempio, i PNL vi influenzano? Loro in Francia stanno descrivendo le periferie con un approccio capovolgente: il loro ultimo lavoro, estratto dal nuovo album, è una trilogia video d’altissima qualità che racconta gli spaccati della banlieue parigina.
Boss Doms: «ci piacciono i PNL, fanno bella roba e ce li ascoltiamo ma non è che prendiamo ispirazione copiando: magari si interiorizza qualcosa e si prende spunto da quel cassetto PNL che c’è nel cervello, ma non è un copia-incolla».
Entrambi date l’impressione di avere un’attenzione particolare per dettagli, per l’innovazione e per costruire una musica estremamente personale. Infatti, è nata No Face, dopo Roccia Music: è il desiderio di farcela da soli con le proprie forze?
«La carriera è fatta di fasi, vieni lanciato, vieni introdotto nel mercato musicale e poi scegli le persone con cui condividere tante cose. Poi ho visto che si cresceva con Boss Doms, e allora squadra che vince non si cambia, con un team. Se Nike avesse fatto prima le giacche, poi l’acqua, poi le scarpe, non si sarebbe imposta come invece ha fatto. Roccia Music ci ha fatto lavorare bene, ma è come una squadra di calcio, frate: ti piglio, giochi con me tre anni, hai spaccato, e poi magari ti vendo, senza rancore. Marra è un fratello, ha fatto di tutto con me, ci sentiamo ancora».
Conclusion: per chiudere il cerchio da dove lo avevamo iniziato, credo sia necessario tornare a parlare di periferie. Che cosa rappresenta e com’è nato il lavoro fotografico con Francesco Faraci?
«Non abbiamo fatto un casting, siamo usciti sotto casa e abbiamo fatto delle foto: stop! In un’altra intervista ho detto che mi sembrava neorealismo anni ’50, di tipo pasoliniano. Scendo per casa e fotografo le facce, le espressioni dei pischelli che pare abbiano vent’anni e ne hanno nove. Senza accentuare un dramma: quelle foto sono quello che c’è in quelle periferie. Non c’è un messaggio particolare, abbiamo deciso di accompagnare un disco anche con una parte visiva dei Ragazzi Madre».
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