Tra la musica rap e il quartiere scorre un legame forte, spontaneo, di natura sia antropologica che genetica, fortemente caratterizzato a seconda dell’interpretazione del rapper. Se poi il quartiere è periferico, il contatto si rafforza grazie all’aspetto della marginalità, e il rap diventa il mezzo per un racconto ai margini: della metropoli, della ricchezza, della società, in opposizione a tutto ciò che è centrale.
Marginale poiché non al centro, a livello anzitutto urbano, ma anche ideologico, che riguarda lo stile di vita, l’approccio alla stessa in una condizione di deprivazione rispetto a tutto ciò che invece sta al centro. Il rap ha fin da subito fatto da catalizzatore per esprimere queste forme di marginalità che si sono spesso e volentieri accompagnate a fenomeni di (auto?) ghettizzazione, poiché interpretano la periferia come un ghetto, ripercorrendo le radici di quelle dinamiche di emarginazione a metà fra il razziale e il sociale, che hanno da sempre contraddistinto buona parte del rap americano. Senza disperdersi in una rassegna dalle molteplici sfaccettature, il caso del rap italiano oggi solleva, dopo anni di crescita, una serie di questioni connesse alla sua capacità di rappresentare appieno la realtà delle periferie.
Siamo abituati a sentire rappare in prima persona delle periferie, che con una certa costanza si ripresentano come tema caldo per quei testi che prendono una forma autobiografica. Per i Co’Sang l’area di Marianella e Secondigliano è stata un asse portante, ben prima della spettacolarizzazione delle Vele; per i Club Dogo un aspetto durevole è stata la narrazione della comunemente nota piazza, mentre un loro affiliato quasi dieci anni fa si riteneva «troppo popolare per un bilocale» poiché arrivava da Ba-Ba-Barona.
“il filtro delle
esperienze personali ha sempre
condizionato il racconto
sulle periferie”
La lista prosegue, chilometrica, ma il filtro delle esperienze personali ha sempre condizionato il racconto sulle periferie, a volte ingigantendo o enfatizzando disagi, differenze, mosaici di storie straordinarie (nel senso che non fanno parte dell’ordinario), elementi tipici di questi (non)luoghi lontani dal centro. Ma se quello delle periferie, con tutte le problematiche ad esso connesse, è un tema topico per le ispirazioni di un rapper, non è invece facile individuare un percorso che sia anche analitico, concettuale, orientato ad un approccio che diventi descrittivo.
Questa tendenza ha trovato una sua chiave di sviluppo in particolare a Roma che, per il suo sterminato perimetro e per la sua disomogenea conurbazione, si presta a un’astrazione dal vissuto, addentrandosi nelle maglie della marginalità. Restando anche in questo caso negli anni più recenti, Rancore apriva la sua vena malinconica per raccontare Roma Nord, tra Tufello e Vigne Nuove. Negli ultimi mesi, con Achille Lauro, si assiste ad un completo intreccio tra approccio puramente narrativo e approccio analitico-descrittivo, dalla narrazione in prima persona si passa allo storytelling di un aspetto critico delle periferie, che diventa completamente visibile grazie alle avanzate tecniche video.
Il video di Wow, girato da Mattia Di Tella e Fabio Gentilini, è il più chiaro esempio di questo mutamento, che nel serpentone di Corviale trova la sua scenografia perfetta.

“Negano i sogni più grandi di questo appartamento stretto”
Il Corviale è un palazzone razionalista di edilizia popolare, lungo 1 km e composto da 1200 appartamenti, teatro ideale per un rap dalla/sulla periferia; non a caso compare nelle pagine dell’ebook RAP – Viaggio nella generazione hip-hop come luogo rigenerato da attività socioculturali, dalla musica allo sport. Il Corviale è stato più volte oggetto di studio sul degrado delle periferie, sebbene alcune video-inchieste (qui e qui) non approfondiscano questioni diventate talmente comuni che ormai si parla da tempo di una rigenerazione del Corviale. Ma se la rigenerazione è un fenomeno prettamente urbanistico, le popolazioni sfuggono a queste logiche, e il rap diventa uno strumento analitico utile per tutto ciò che fa parte della periferia ma non rientra nei piani della riqualificazione o della battaglia al degrado.
«Come si fa a dire di no? Fuori fa freddo,
bambini in felpa levano il giacchetto ai bambini del centro,
e non hanno più freddo»
(da WOW, Achille Lauro)
Il rapper romano prende di petto tutto il cosmo della criminalità rinchiusa nello spazio di confinamento, tra spacciatori e brava gente, ma restituisce il protagonismo a quei personaggi che sono emblema di marginalità e deprivazione, come i giovani criminali della sua Corviale.

“Danno lavoro a ragazzi quasi come fosse un’azienda”
Così il rap diventa la chiave di lettura per aspetti rimasti troppo nascosti nelle liriche rap, schiacciati dal peso asfissiante del rapper, dalla sua esigenza di raccontarsi, anziché di raccontare, di porsi, anziché di porre una serie di questioni sul piatto dell’analisi. Con il fondamentale supporto di Di Tella e Gentilini, quei bambini che «sembrano tranquilli ma in fondo son figli di troia» assumono un ruolo centrale per quello che fanno, e non per quello che si racconta su di loro. Diventando membri di un’azienda, enti locali del sommerso che fanno da ecco all’hacienda boliviana dove la cocaina fa da padrona. Nei meandri di un palazzo con lunghi porticati e spazi di confinamento – come sosterebbe il professor Giuseppe Micheli sulla base degli studi sul quartiere Monte Amiata di Aymonino e Rossi – i bambini senza pietà conoscono il loro habitat naturale per coltivare i loro sogni di illegalità.

Gli spazi del confinamento: un portico lungo chilometri
Lì dove l’inchiesta vede degrado e crimine, dove il rapper vede argomenti validi, risiede in realtà una limpida descrizione di quello che è periferia, facendo emergere quella che l’antropologo Arjun Appadurai chiama capacità di aspirare, di pensare ad un altro futuro, dove il radicamento alle pratiche quotidiane impegna questi giovani ragazzi nel cambiamento delle loro condizioni di vita: uscire dalla marginalità, diventare protagonisti della periferia, sognare la ricchezza che nel centro si ottiene anche senza crimine. La capacità di aspirare è una componente culturale di cui il palazzo popolare periferico si fa portatore, con tutte le storie di aspirazioni al suo interno, che diventano sfaccettature di un (micro)mondo culturale che Achille Lauro racconta da conoscitore, ma senza il contatto sulla sua pelle.

“Questi ragazzi che fanno fattura ma senza fattura”
Gioielli, pendenti brillanti, mazzette di soldi, furti di borsette: episodi tipici in luoghi ai margini, che diventano elementi chiave di un supporto descrittivo reso completamente efficace dalla qualità d’immagini che ormai si avvalgono di tecniche avanzate: droni, slowmotions, full hd. Il video rap si trasforma in percorso analitico che offre forse l’immagine più chiara della periferia. Abbandonando la narrazione in prima persona, Achille Lauro si distanzia anche da quelle tipiche polemiche che si interrogano sul fatto se sia tutto vero quello che il rapper racconta. Questo diventa un fattore secondario, «d’inventato c’è niente», è una storia inventata a raccontare quello che succede. In più, le immagini parlano – in un certo senso – da sole.
“possiamo
capire le periferie
attraverso
il rap?”
Siamo davanti ad una trasformazione che potrebbe passare inosservata, ma che solleva una domanda: possiamo capire le periferie attraverso il rap? Oggi, a parere di chi scrive, questa componente analitica non è mai emersa, sebbene quella di raccontare il proprio quartiere sia stata l’intenzione di molti rapper per tanti anni. Con Wow le immagini completano un racconto che invece nasce e finisce nel lavoro descrittivo perfettamente riuscito. «D’inventato c’è niente» non è una giustificazione, è una constatazione. Che alcuni bambini crescano negli appartamenti stretti del Corviale con l’idea del crimine può essere qualcosa di caricaturato, ma è qualcosa di cui si dibatte da anni (Scampia lo sa bene).
Per la carriera artistica di Achille Lauro, l’utilizzo di questo nuovo approccio è la maturazione di una scelta che si intravedeva già nel 2012 con Motorini. La periferia si vive, ma oggi con il rap, la periferia può diventare una tematica molto più rafforzata. Nel territorio (peri)urbano al margine della città, crescono deprivazione, abbandono e vigono povertà e precarietà. Al contempo, nelle periferie di Bruxelles, si pianificano pericolosi attentati. La periferia sarà pur al margine della città, ma le tematiche di cui è portatrice, sono più centrali di quanto si possa pensare. Achille Lauro, senza interrogarsi come sto facendo io, sembra averlo capito: a sapere tutto, faremmo wow! Ma basta esclamare, anzitutto basta guardare il Corviale. Dalla cui sommità, la città non si vede. Si vede periferia.

“Noi stavamo qua. Voi no”
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